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Haiku 2. Dove prima era acqua

mar 26 set

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Galleria delle Fontane

Rewilding poetico di nature perdute nel presente urbano

Haiku 2. Dove prima era acqua
Haiku 2. Dove prima era acqua

Dove e quando

26 set 2023, 19:30 – 20:30

Galleria delle Fontane, Piazza Giuseppe Garibaldi 1

Info

Biglietto intero €7, ridotto studenti e under18 €5

In vendita qui o presso la Libreria Mondadori di Piazza Ghiaia (Parma)

Lenz Fondazione

HAIKU 2. DOVE PRIMA ERA ACQUA.

Rewilding poetico di nature perdute nel presente urbano

Una performance poetica per dare identità artistica ad un pensiero lirico-ecologista, per reimmaginare la natura scomparsa nelle città e restaurare la memoria dell’ambiente perduto. Con l’interpretazione di Sandra Soncini dei versi dedicati al ri-vivente animale e vegetale di Pier Luigi Bacchini, Thomas Stearns Eliot, Ezra Pound, Giovanni Pascoli, Rainer Maria Rilke.

Dall’inizio all’inizio, in un tempo circolare mai identico, da Lenz a Lenz ma fuori dall’orbita già tracciata da anni di ricerca, di successi e aritmie di percorso, dubbi e incertezze ma sempre insoddisfatti di ogni risultato. Poi il risultato presuppone la ripartenza, nuovi rischi, nuove direzioni. Nuove geosofie, nuove geografie del sapere e della conoscenza, nuove visioni. Oggi la situazione del mondo, già catastrofica per il continuo attacco umano, esige un pensiero alternativo, di modalità di sopravvivenza, di mantenimento delle specie umane e no. Sono pensieri ampi ma che riguardano il particolare, riguardano ognuno di noi. Riguardano la guerra e la pace, poiché la Natura può riprendersi da sé come il fungo matsutake che nasce sul paesaggio devastato di Hiroshima, o sulle scorie di Fukushima o come gli animali che vagano per Chernobyl che pare abbiamo imparato adattarsi alle radiazioni, ma per l’essere umano la prospettiva è assai peggiore, è assai più debole e indifeso. Forse occorre superare il binomio Uomo-Natura e considerarci tutti appartenenti, e dipendenti, dal medesimo Habitat. Nuovi bestiari, nuove parentele. Cosa c’entra il teatro con questo? Se il processo emozione, sentimento e cervello sono caratteristica, come il linguaggio, dell’essere umano ogni rappresentazione, espressione, rifrazione del pensiero deve, necessariamente, avere a che fare con questo. Pena ripetere all’infinito la stessa modalità di confrontarci con noi stessi, umani attori e umani spettatori fingendo che tutto sia come sempre, che l’arte non abbia risentito dell’Antropocene e dei suoi radicali sconvolgimenti, che la ricerca scientifica non abbia introdotto mondi e visioni nuove, nuove tecniche, nuove pratiche creative, nuove relazioni tra agenti e partecipanti. E proprio perché il teatro non può esistere senza gli uni e gli altri serve portare in scena la complessità del mondo, le prospettive di sopravvivenza, nuovi linguaggi nel dire, pensare, fare. Dalle proposte del programma si evince come la ricerca dello svelamento della complessità sia fortemente inseguita, tracciata, spiata. Apocalisse, nel 2023, significa rivelazione, svelamento, e ci si interroga ancora se sia già avvenuta o se avverrà e quando. Ecco cosa il teatro, in quanto arte corporea e mortale, dovrebbe ricercare, in parallelo scienza e filosofia, antropologia e biologia, sociologia e psicologia, la tecnologia e la cultura visuale lo stanno già facendo a ritmi frenetici. Anche l’arte visiva, il cinema, la musica e la poesia in molte opere lo hanno fatto e cercano di rimanere al passo. Perché il teatro contemporaneo non dovrebbe farlo? Pensiamo che, come sempre, un pensiero alternativo, una visione del mondo più vicina ad una concezione panteistica della vita e della natura possano venire oggi da donne, da un gruppo di donne europee e americane che da qualche decennio ci offrono orizzonti e dimensioni, rifrazioni e diffrazioni che ci stimolano a riconsiderare radicalmente funzioni e prospettive. Donna Haraway, Karen Barad, Judith Butler, Rosi Braidotti, Anna Tsing, Nina Lykke ad esempio. Dopo Deleuze, Nancy e ogni diramazione rizomatica di pensiero critico sono questi oggi i nostri riferimenti, i nostri interessi di studio, le immaginazioni di futuro da costruire ben sapendo che quel che conta davvero è solo il presente. L’utopia e il desiderio devono essere adesso, perché non c’è più tempo, la terra è stanca di noi e consiglia di cambiarci, di rivoltarci. La visione ampia di Lenz rispetto alla necessità del teatro, immagine enciclopedica, è stata costruita nel corso dei nostri anni di lavoro, e ha formato la nostra pratica teatrale facendoci scoprire bellezza dove ancora non si percepiva, non si poteva percepire se non andando a cercarla, con la stessa ostinazione di una Simone Weil, di una Cristina Campo. Una continua tempesta linguistica, sociale, psichica mai adagiata sulle proprie forme, sempre sconfinante, finanche alla perdita del senso, un continuo confronto con sensibilità e capacità sconosciute, e per bussola la Classicità che tutto contiene e tutto ripete, mai uguale.

creazione e installazione di Maria Federica Maestri e Francesco Pititto / interprete Sandra Soncini / musica  Andrea Azzali / produzione Lenz Fondazione

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